Il nostro viaggio sul sentiero degli alberi di limone, iniziato QUI con un bellissimo Blog Tour,
oggi ci riporta indietro nel tempo...
Qualunque sia la meta, ogni viaggio si rivelerà sempre un'esperienza diversa, ma ci sono viaggi - come quello della nostra Anna ne "Il sentiero degli alberi di limone" di Nadia Marks
che cambiano la vita...
Era in assoluto la mia prima volta in un aeroporto. Mi vergognavo tantissimo, avevo più di vent'anni e non ero mai stata all'Estero. Ma questa volta ci ero riuscita, e tutto da sola. Avevo lavorato, messo i soldi da parti, ero andata in agenzia, prenotato tutto... e ora finalmente ero al gate.
Praga l'avevo vista solo in foto, ma la guida l'avevo letta e riletta e...
E forse questa storia la racconterò un altro giorno, cari lettori, perché leggendo "Il sentiero degli alberi di limone" e rileggendo il titolo di questa tappa, mi sono riaffiorati alla mente altri viaggi e altri ricordi.
L'estate dopo che mio nonno ci aveva lasciati, mio padre decise che era giunta l'ora di staccare un po' la spina. Non aveva voluto sentire ragioni. Era tutto deciso, saremmo andati per qualche giorno dalle sorelle, al nord.
Con la macchina che straripava di valige, lasciammo Salerno sentendoci in colpa. Era passato quasi un anno dal funerale, ma ci sembrava ancora presto per salutare tutti e andare in vacanza.
Ci saremmo fatti la foto di rito in piazza San Marco a Venezia, avremmo visitato qualche villa veneta e il mio fidanzato ed io, avremmo fatto una piccola deviazione a Firenze. Per una decina di ore avrei respirato Rinascimento a pieni polmoni e mi sarei sentita a casa.
Salutati gli zii risentiti per quel piccolo cambio di programma, salii in treno palpitante di gioia. Firenze era la città delle estati della mia adolescenza e viverla ora con la persona che credevo di amare, mi avrebbe regalato nuovi ricordi. Ero impaziente.
La giornata trascorse tra musei e mostre d'arte e prima di prendere il treno del ritorno, decidemmo di cedere alla tentazione ed entrare in un bar per un caffè. Per noi meridionali il caffè è quasi un rito, non importava che non sarebbe stato quella crema aromatica al quale siamo abituati. Dovevamo congedarci da una città, avevamo bisogno di fermarci ancora un attimo e quel caffè sarebbe stata un'ottima scusa.
Eravamo in piazza della Repubblica, guardai verso sinistra e lo vidi: Caffè delle Giubbe Rosse. Per istinto presi la macchina fotografica, affascinata da quell'aria art nouveau e il clic dello scatto fu accompagnato da un pensiero che espressi ad alta voce "...e questa, la faccio vedere a mio nonno."
L'attimo dopo fui investita dalla realtà: ero in un'altra città, in vacanza, a scattare una foto per una persona che non avrebbe potuto vederla.
Era stata quella stessa persona a trasmettermi l'amore per l'arte e per la storia, a regalarmi la mia prima macchina fotografica, ad insegnarmi dove guardare per notare la bellezza stessa vita. E per quella stessa persona, un anno prima, non avevo pianto. Né in ospedale, né in chiesa, neanche al cimitero. Non una lacrima. Avevo osservato lo scorrere delle cose come se fosse stato un film, con distacco. E avevo creduto che così facendo, avevo superato il tutto da persona forte e matura.
Sbagliato. Era tutto sbagliato. E lì, davanti a quel caffè, lo feci. Rimisi in borsa la macchina fotografica, calai gli occhiali sul viso e dalla giostra fino al caffè piansi in silenzio per tutto. Per quel secondo padre che avevo perso. Per il tempo che scorreva. Per quell'anno che era passato andando avanti meccanicamente.
Sul treno per Padova mi sentii svuotata, non più vuota. Semplicemente svuotata e pronta per ricominciare a vivere sul serio.
XOXO Virginia
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