Hello readers!
Qualche mese fa ho avuto l'occasione e il piacere di incontrale Michele Gazo,
autore de "Il flagello di Roma", "La conquista dei Celti" e "Lorenzo Il Magnifico".
E come potevo lasciarmi sfuggire l'occasione di intervistarlo e farvelo conoscere anche a voi?!
Ecco dunque la mia intervista a Michele!
-Ciao Michele, è un piacere averti qui con noi. Allora, raccontaci un po' di te! Chi è Michele Gazo?
Piacere mio, ti ringrazio! Penso di essere una persona che ha avuto la fortuna di mantenere in età adulta quella particolare visione che alcuni chiamano “realismo fantastico” e che caratterizza soprattutto l’infanzia, una visione che, purtroppo, nella maggior parte dei casi, si perde con gli anni. Vedere nelle cose anche “altro da ciò che esse sono” ha significato e continua a significare moltissimo per me sia nell’ambito della vita personale sia in quello della vita professionale: se non avessi mantenuto questa visione non avrei mai potuto fare ciò che faccio oggi, ovvero il romanziere.
-Quali sono stati il momento e sopratutto il motivo che ti hanno spinto a intraprendere la strada della scrittura?
Il momento è stato da bambino, quando ho cominciato a leggere i primi veri romanzi e a restare affascinato dalla loro potenza evocativa; il motivo risale più o meno allo stesso periodo: in seguito ad alcune vicende straordinarie vissute con degli amici, decisi che un giorno le avrei raccontate sotto forma di romanzo. A quel tempo la scrittura narrativa mi sembrava infatti l’unico incantesimo in grado di mescolare insieme esperienze reali e fantasie, generando al tempo stesso un risultato maggiore della somma delle parti. Ricordo che mi sentivo e persino mi visualizzavo un po’ come un mago mentre scrivevo a mano le mie storie, usando quaderni scolastici come fossero poderosi tomi di incantesimi che prendevano vita riga dopo riga. E, del resto, credo ancora che la scrittura sia proprio questo: una magia in grado di creare mondi, mondi veri tanto quanto le esperienze reali, con l’unica differenza che non ci pervengono attraverso il canale sensoriale fisico ma attraverso quello percettivo interiore.
Nel caso di un romanzo storico uso la fantasia come collante per amalgamare i fatti realmente accaduti. Riempio gli interstizi tra ciò che conosciamo, ciò che è successo, con elementi inventati ma che siano il più possibile verosimili. Utilizzare troppa invenzione, troppe licenze storiche, significherebbe barare al gioco e far perdere autenticità e senso a un romanzo di questo tipo, il cui scopo è sostanzialmente quello di divulgare un significato profondo legato al nostro percorso personale attraverso l’esempio di personaggi realmente vissuti e di gesta realmente compiute. In questo senso, nella scelta di cosa portare in primo piano e di cosa lasciare sullo sfondo si inserisce il mio sentire personale, il messaggio che voglio trasmettere, quella che potremmo definire l’anima del romanzo. Anche in questo caso però cerco sempre di far sì che l’aspetto avventuroso prevalga su quello concettuale, in modo da rendere il romanzo il più avvincente possibile.
-Domanda scorretta lo so, ma quale dei tuoi figli di carta ti rende più orgoglioso?
Devo dire in sincerità che finora sono orgoglioso di tutti miei figli, sia reali che cartacei! Se proprio devo indicare uno di questi ultimi, oltre, naturalmente, a Lorenzo, dico Brenno, il protagonista de "Il flagello di Roma" (Rizzoli), romanzo il cui titolo originale, tra l’altro, era proprio “Brenno – La furia del corvo”. Le fonti su questo condottiero celta, che mise a sacco Roma nel 390 a.C., sono veramente scarsissime e nonostante ciò (o forse grazie anche a questo) credo di poter dire, come mi hanno riferito diversi lettori, di essere riuscito a caratterizzarlo in modo efficace, da un lato infondendogli una statura epica, tipica del romanzo eroico, e dall’altro mantenendolo attinente alla verosimiglianza storica. I lettori lo hanno amato parecchio... Pensa che uno di loro mi ha mandato la foto di un disegno che si è fatto tatuare su tutta la schiena ispirato proprio al “mio” Brenno! Confesso che ricevere quella fotografia è stata una grandissima gratificazione personale.
-Veniamo al tuo ultimo libro "Lorenzo Il Magnifico". Come lo descriveresti?
Lo definirei, in modo metaforico, come un “processo alchemico”. Nella trama c’è infatti un “apprendista”, Lorenzo, che, forte della predestinazione dovuta al suo “maestro”, suo nonno Cosimo, intraprende un “viaggio iniziatico” attraverso una serie di prove che lo portano verso la realizzazione della sua “opera”, ovvero il raggiungimento della pace tra le famiglie di Firenze e tra gli Stati della penisola, in modo da creare quell’equilibrio necessario affinché il genio dell’uomo possa esprimersi e fiorire. Legato in modo indissolubile a tutto ciò c’è il tema dell’Amore, rappresentato sia come potenza salvifica in grado di mettere in comunione l’uomo con Dio, sia come incarnazione dell’equilibrio degli opposti, indispensabile all’armonia universale. A costituire gli ostacoli che Lorenzo deve affrontare per compiere la sua missione ci sono gli infiniti intrighi, i tradimenti, i contrasti e gli attacchi che vengono orditi e sferrati dai suoi avversari. Tra questi primeggiano i membri della famiglia Pazzi, un nome talmente simbolico che sembra inventato e che invece è, incredibilmente, storico.
-Hai scelto come protagonista Lorenzo Il Magnifico. Un soggetto storicamente molto importante. Pensi di avergli reso giustizia?
Sono convinto che ognuno di noi abbia in sé lati positivi e lati negativi. A questa regola non sfuggono neanche i personaggi storici, nemmeno quelli più virtuosi come Lorenzo de’ Medici. Fatta questa debita premessa, posso dire di aver sicuramente contribuito a sottolineare quelli che furono i pregi del Magnifico, prendendolo come esempio di equilibrio e ponderatezza. Allo stesso tempo però ho voluto rimarcare anche una delle sue più grande “colpe”, che nella serie tv non è presente, ovvero quella di essere stato il mandante della presa di Volterra, a cui è seguito uno dei più sanguinosi massacri dell’epoca medieval-rinascimentale. Ritengo importante, nella scrittura, mostrare i chiaroscuri di un personaggio, per trasmettere tutta la sua umanità e permettere al lettore di compiere insieme a lui il viaggio di caduta e redenzione, in modo da imparare dal suo esempio. Penso che questo sia uno degli scopi più importanti delle narrativa, se non il più importante in assoluto, in particolare della narrativa storica.
-Se potessi tornare indietro cambieresti qualcosa?
Devo dire che non cambierei davvero nulla, sono sincero: sono molto soddisfatto di come è venuto il romanzo e posso dire che anche l’editore ne era entusiasta. Ritengo che questo libro abbia molti punti di forza, in particolare il ritmo veloce e i personaggi intriganti. Inoltre, parlando prettamente di stile di scrittura, aspetto a cui tengo molto, a oggi lo considero il mio lavoro meglio riuscito.
-Serie TV e libro. Rapporto difficile o piacevole esperienza?
Anche se il romanzo “I Medici – Lorenzo il Magnifico” è stato a tutti gli effetti la mia prima collaborazione con il mondo delle serie tv, non ho lavorato alla sceneggiatura de I Medici 2, in quanto mi sono occupato solo del libro. In linea teorica la difficoltà maggiore avrebbe potuto essere rispettare le aspettative di un pubblico che aveva già acquisito e apprezzato gli stilemi della precedente stagione del format e che ragionevolmente li voleva ritrovare sia nelle stagioni successive della serie tv sia tra le pagine del romanzo. In realtà, dato che la narrazione segue la storia vera di Lorenzo de’ Medici, sia io che gli autori tv avevamo una traccia già pronta da seguire e da cui non si poteva prescindere, per cui realizzare questo romanzo non è stato molto diverso rispetto al realizzare un qualunque altro romanzo storico. A chi ha visto la serie tv ma non ha letto il libro posso dire che in quest’ultimo ci sono parecchie sequenze in più, scene diverse e personaggi aggiuntivi, per cui, se avete amato la serie... vi consiglio di leggerlo!
-Hai una domanda a cui hai sempre desiderato rispondere ma che nessuno ti ha mai posto?
-Che ne dici di salutarci con la tua citazione preferita, presa ovviamente dai tuoi romanzi ?
In effetti sì, è una domanda un po’ strana per cui dubito che a qualcuno possa venire in mente di farmela, ed è: scrivere un romanzo ti richiede anche un coinvolgimento sul piano fisico? La risposta, che potrà forse sorprendere, è sì, dato che cerco nella maggior parte dei casi di immergermi completamente nelle situazioni che racconto e al tempo stesso di descrivere sensazioni reali che ho vissuto per primo sulla mia pelle. Per questo pratico tutta una serie di attività che mi permettono di conoscere “dall’interno” ciò che si prova in determinati frangenti. Se per esempio devo descrivere una scena in cui i personaggi si inerpicano su una parete rocciosa, come mi è successo ne Il flagello di Roma, mi ispiro ad arrampicate che ho realmente fatto; se devo descrivere un duello ne provo prima la sequenza di mosse da solo o in sparring con un compagno, un po’ come fanno i coreografi dei film, e così via. Si tratta per me di un approccio molto importante, che permette di rendere più vivo e tangibile il romanzo riversando su carta esperienze concrete e al tempo stesso di avvicinare scene di fantasia alla dimensione della realtà. Mi piacerebbe che i lettori vivessero allo stesso modo ciò che leggono, sentendo non solo i miei romanzi ma la narrativa in generale non come una fuga astratta dalla realtà ma come un’espansione di quest’ultima. È così che ho sempre visto la narrativa, sia scritta che letta, e sarebbe molto bello se riuscissi a condividere questo mio approccio con i lettori.
-Che ne dici di salutarci con la tua citazione preferita, presa ovviamente dai tuoi romanzi ?
Dato che sto lavorando a un nuovo progetto narrativo in cui compare anche la figura di Cosimo de’ Medici, nonno di Lorenzo, e che al tempo stesso riprende l’argomento del mio primo romanzo, “Il libro di Thoth” (Alfa Edizioni), vorrei salutare te e tutti i lettori con una frase presa proprio da quell’opera: “Tutti i libri che possiamo leggere non valgono una sola delle frasi che possiamo scrivere.” Mi piacerebbe che questo aforisma venisse percepito, oggi come allora, come un incoraggiamento a esprimere se stessi e il proprio individuale talento, unico e irripetibile, per arricchire così con l’inchiostro delle nostre azioni quella grande e multiforme biblioteca che è il mondo in cui viviamo. Sono sicuro che Lorenzo il Magnifico approverebbe.
Ed eccoci qui cari lettori a fine intervista!
Cosa ne pensate?
Io amo leggere le interviste di autori i cui libri mi sono piaciuti tanto e voi?
Jane
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