sabato 1 ottobre 2016

Movie Addicted. Recensione "Mommy" di Xavier Dolan

Salve a tutti.
Il film di cui leggerete la recensione oggi è "Mommy", di Xavier Dolan (che ne è anche il produttore e lo sceneggiatore). 
 
 
 
 
 
 
 

Diane (detta "Die") Despres, vedova di 46 anni, donna indipendente ed autonoma, apparentemente sicura di se
e spesso strafottente, abbandonata dal marito e da chiunque altro, bella, ma segnata dal tempo e dai pensieri, si reca presso il centro di recupero per riportare a casa Steve, il figlio quindicenne affetto dalla sindrome da deficit di attenzione e iperattività ad esso affidato dopo la morte del padre e nel quale, le dicono, non può più rimanere per aver provocato un incendio che ha recato gravi e permanenti danni ad un piccolo paziente. Inizia così una nuova vita per madre e figlio che si trasferiscono in una casa diversa da quella in cui hanno sempre abitato decisi a ricominciare da zero. Steve manifesta subito, sin dai primi secondi che passa fuori del centro, la sua natura di ragazzo ribelle, scontroso, suscettibile, arrabbiato col mondo e talvolta persino con la madre, unica persona che ancora ama, presentandosi immediatamente per quello che è anche con i vicini di casa, che ne osservano i comportamenti quasi intimoriti e ne ascoltano le urla inferocite con terrore. Steve, però, non è solo un adolescente scapestrato e maleducato, così come appare a chi non lo conosce. Steve è un ragazzo che soffre, un ragazzo che non controlla se stesso e la rabbia che porta dentro e quando questa rabbia repressa prende del tutto il sopravvento sulla sua mente e sul suo corpo, ecco che iniziano le urla, i gesti violenti, le parole che feriscono. In seguito ad un litigio con la madre, durante il quale Steve tenta persino di soffocarla, dopo che lei si è rifugiata in uno sgabuzzino per proteggersi delle grinfie del figlio arrabbiato e lui si è, per un gesto involontario di Diane, ferito ad una gamba durante la lotta, ecco che entra in scena Kyla, moglie, madre e professoressa che ormai non lavora più a causa di un problema di balbuzie, ma soprattutto donna buona e generosa che con la sua dolcezza e determinazione riuscirà a regalare qualche momento di gioia e di conforto alla disastrata famiglia Despres e che, con forza di volontà e passione, farà da insegnante a Steve mentre sua madre si dedicherà alla ricerca di un nuovo lavoro, dopo essere stata licenziata. 
Da questo momento in poi inizieranno le drammatiche avventure di Kyla e Diane che raccontano il tentativo di queste due donne di occuparsi nel migliore dei modi di un ragazzo fuori controllo, di tenerlo a bada e di farlo vivere come qualunque altro suo coetaneo, preparandolo con pazienza alla futura vita che, non appena sarà pronto, dovrà affrontare e accompagnandolo, passo dopo passo, con mille sforzi e sacrifici, in quello che, sperano, possa essere un soddisfacente, per quanto lungo, processo di guarigione. 

Eppure non bisogna credere che il film sia esclusivamente incentrato sulla figura di Steve e che tutti gli altri personaggi esistano solo in funzione sua: "mommy" racconta più storie, tutte di grande sofferenza, che partono come storie separate (nel momento in cui i personaggi vivono distanti) e che finiscono poi per fondersi (quando Steve e Diane si ricongiungono e Kyla entra a far parte delle loro vite) fino a diventare un'unica grande storia di tre persone provate dalla vita che cercheranno di darsi forza a vicenda: Steve è quell'anello di congiunzione che permette al regista di raccontare non solo la sua storia, ma anche e soprattutto la storia di due grandi donne e delle loro due famiglie in crisi.
"Mommy", così come suggerisce lo stesso titolo del film, parla di Diane, madre rimasta sola, che sacrifica se stessa e concentra tutte le sue energie sul figlio per cercare, con amore e comprensione, di offrirgli la vita che merita e al tempo stesso di curarne la malattia, del rapporto spesso violento ma in fondo caratterizzato da un sentimento molto intenso, e spesso anche morboso, che lega il figlio a lei in modo quasi malato ed eccessivamente affettuoso, e di Kyla, anch'essa madre, che capiamo non vivere in perfetta armonia con la sua famiglia e che si avvicina a Diane e Steve quasi per allontanarsi da essa, perché, all'interno della casa in cui vive, sembra non stare affatto bene: continue sono le immagini in cui la vediamo scambiare sguardi silenziosi ma eloquenti con il marito dal quale sembra voler scappare senza che però ne riveli mai il reale motivo. 

I protagonisti di questo film sono personaggi sofferenti, che vivono una vita che non li soddisfa, accomunati solo dalla ricerca costante di libertà e della voglia disperata di serenità. Il film stesso,  per il modo in cui è diretto, ha come primo intento quello di trasmettere emozioni forti, in particolare ansia ed angoscia, ma soprattutto quel senso di oppressione che provano Steve, Diane e Kyla. Non è casuale, quindi, da parte del regista, la scelta di utilizzare un'inquadratura claustrofobica quadrata (1:1) che costringe a mostrare una sola persona per volta (perché un'inquadratura stretta che mostra i personaggi singolarmente, meglio si adatta alla volontà di Dolan di approfondire la loro storia individuale. Per un film che indaga la psicologia umana, il regista ha voluto che la telecamera fosse il più possibile vicina ai volti dei personaggi perché essi stessi, più delle parole che pronunciano e dei gesti che compiono, attraverso un solo sguardo, potessero raccontarsi). I personaggi vivono in un mondo che è stretto per ognuno di loro. Steve urla sempre la parola "libertà" (pochissime volte e per pochi secondi l'inquadratura viene allargata e ad allargarla è lo stesso Steve in alcune delle tante scene in cui urla proprio quella parola, spalancando le braccia nel tipico gesto delle persone che si sento davvero libere, a testimonianza di come l'inquadratura voglia riflettere e trasmettere il senso di prigionia che grava sui personaggi. Subito dopo, infatti, già dalle scene successive, quando finisce il momento di euforia e felicità, essa torna nuovamente ad essere stretta.) perché non si sente affatto libero, perché la libertà è quello di cui ha bisogno, quello che sogna di ottenere e cerca senza sosta. Steve non si sente libero perché è prigioniero di se stesso e della sua mente malata. Lui non è felice di essere quello che è, soffre quando fa soffrire la madre che ama profondamente, nonostante la malattia lo porti spesso ad avere nei suoi confronti atteggiamenti aggressivi e ambigui e a rivolgerle quotidianamente parole volgari ed inappropriate. E la madre è vittima del figlio, è prigioniera della sua follia che le impedisce di vivere una vita spensierata o addirittura di avere relazioni, che la costringe ad un senso eterno di ansia e paura, oltre che a laceranti sensi di colpa ed innumerevoli domande su cosa sarebbe meglio fare e su cosa potrebbe mai aver sbagliato. La stessa cosa vale per Kyla, che non si sente libera di esprimere quello che ha in testa perché non riesce a farlo, perché le parole non le escono in modo
fluido e chiaro. Proprio questo vuole trasmettere l'inquadratura: Dolan ha scelto di utilizzare un'inquadratura stretta perché i personaggi stanno stretti in loro stessi e nella realtà che li circonda e che mai riusciranno a cambiare, e noi, per tutta la durata del film, dobbiamo sentirci esattamente come loro: stretti, rinchiusi in un loop senza fine, in una vita che è sempre la stessa, che è statica e non porterà mai ad un progresso. 

(SPOILER): Ed infatti durante tutto il film sembra soltanto che avvengano dei miglioramenti che in realtà sono solo apparenti. Steve, dopo tanti sforzi, accetta che qualcuno lo faccia studiare, la madre inizialmente licenziata trova un lavoro, la loro vicina di casa, Kyla, iniziai a parlare in modo più fluido e trova finalmente degli amici con cui ridere e scherzare. Ma poi tutto precipita: lei riprende a balbettare ed è costretta ad andare via e ad abbandonare non solo le persone alle quali si era così profondamente affezionata, ma anche quella che per lei era diventata quasi una missione, ovvero l'istruzione di Steve, quell'unica attività che le permetteva di uscire di casa e di avere un contatto con qualcuno che non fosse il marito o la figlia, quell'unica attività che la faceva sentire una donna nuovamente realizzata e che le dava la possibilità di continuare a fare ciò che più ama fare: insegnare. 
E c'è anche Diane, che finalmente era riuscita a farsi notare da un uomo che poteva risolvere la sua disperata situazione famigliare, almeno sul piano economico, e ridarle sicurezza in se stessa riempiendola di tutte quelle belle parole sul suo aspetto al quale lei ormai da tempo non credeva più, e che però, poi, fugge. E Steve che per un momento sembra quasi essere guarito ed aver trovato la serenità che tanto cercava in due persone che gli vogliono bene e lo accudiscono, ma che alla fine riprende ad essere quello che è sempre stato e ritorna in ospedale.
È come se "mommy" ci desse ad un certo punto la speranza che le cose per tutti stiano migliorando, facendoci quasi credere che possa addirittura esserci un lieto fine, soprattutto nel momento in cui ci presenta quella bellissima scena (caratterizzata da immagini confuse e sfocate che si sovrappongono velocemente, senza lasciarci il tempo di metterle bene a fuoco e di assimilarle: Un turbinio di immagini compresse in uno strettissimo spazio, posizionate a formare quasi un collage di foto su una piccola parete quadrata, che compaiono e scompaiono con la stessa velocità con cui appaiono i pensieri nella mente di chi è confuso) con la quale ci mostra le speranze di Diane che sogna ad occhi aperti un futuro migliore per Steve, per lei e per Kyla: una scena equivoca, carica di pathos, che per un momento ci fa gioire e subito dopo ci riporta alla realtà cruda e spietata dei fatti narrati, svelandoci che ciò per cui abbiamo solo un secondo prima gioito, altro non era che il desiderio irrealizzabile di una madre disperata. O anche in quell'altra scene, l'ultima, in cui Steve chiama Diane al telefono e le rivolge delle dolcissime parole, preoccupandosi poi di aver usato quelle giuste e che ci dà l'illusione di essere ormai guarito del tutto, ma che qualche secondo dopo, non appena i dottori gli danno fiducia e lo liberano dalla camicia di forza in cui era stato costretto, scappa, facendoci ricredere, lasciandoci intuire, senza però mostrarcelo o dircelo chiaramente, che non ci sarà mai per lui un lieto fine, un modo per riscattarsi e cambiare. Questa storia è una storia statica: i personaggi non compiono alcun progresso, ti fanno solo sperare, in vano, che un miglioramento possa avvenire: La loro storia è una storia senza fine che si ripete in eterno e le loro sofferenze sono destinate a non terminare mai, neanche alla fine del film che, non a caso, presenta un finale aperto, ma facilmente intuibile. (FINE SPOILER)

Steve, Kyla, il regista Dolan, Diane.
Se l'obbiettivo di Xavier Dolan era quello di raccontarci una, anzi più storie, di grande dolore e di farci quasi patire per tutta la durata del film quella stessa sofferenza che vivono i personaggi in cui è impossibile non immedesimarsi, direi che c'è riuscito perfettamente non solo attraverso la scelta di attori che mettono i brividi per il modo naturale ed intenso in cui recitano, ma anche attraverso l'uso di un'inquadratura che rispecchia perfettamente le emozioni di cui il film è un concentrato e di musiche che, nonostante non siano originali, sono inserite al suo interno in modo perfetto, quasi fossero nate con e per esso. 



 
 
 
Vi lascio il trailer:
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Se non l'avete ancora visto, vi consiglio assolutamente di guardare mommy perché, credetemi, è un film che vi rimane per sempre dentro. 
 
 
 
 
 
 
 
 
Carlotta.

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