giovedì 23 agosto 2018

Il diario di Jane: una riflessione sulla tecnologia con "L'invenzione di Morel" di Adolfo Bioy Casares.

Buongiorno cari lettori ! Quello di oggi è un post un pochino diverso dal solito. Non si tratta infatti di una recensione, ma di una presentazione e una riflessione sul romanzo fantascientifico scritto da Adolfo Bioy Casares, ovvero “L’invenzione di Morel”.

Il romanzo racconta la storia di un fuggitivo di cui, per tutto lo scritto non si conoscerà mai il nome, che, condannato (a detta sua) ingiustamente all’ergastolo, decide di rifugiarsi su un’isola avvolta nel mistero. Su di essa infatti sono tante le leggende, la più terribile narra che vi sia un terribile virus che stermina chiunque si avvicini alla terra. Nonostante tutto, il fuggitivo decide di partire lo stesso e sull’isola trova qualcosa di inaspettato: una specie di villaggio disabitato adibito a una vita più che modesta. Però, contro ogni previsione, sull’isola arrivano dei turisti che portano non poco scompiglio al nostro fuggitivo. Tramite un diario, scopriamo come il nostro protagonista, da prima spaventato e infastidito, decida, per amore, di mettere a repentaglio la propria sicurezza e di uscire allo scoperto. Si innamora infatti di una donna, Faustin che, però, si comporta in modo strano, come se non percepisse la presenza del fuggitivo. Non importa quanto si faccia vedere, quanto parli e addirittura quanto gridi, Faustine sembra non notarlo. Piano, piano il protagonista si accorge che non è solo la donna amata a non vederlo, ma anche tutti gli altri turisti. Inoltre, un altro inquietante fatto sembra caratterizzare quelle persone, la ripetizione meccanica e ciclica delle conversazioni e dei movimenti. Il fuggitivo scoprirà, poi, il segreto dei quelle persone: il professore presente nella comitiva, Morel, tramite una sua invenzione ha registrato per una settimana i suoi compagni di viaggio e ha reso il loro corpo immortale. Le persone sono dunque delle riproduzioni fittizie, ferme per sempre in paradiso inarrestabile se non tramite lo spegnimento delle macchine. Tuttavia l’immortalità ha un prezzo; i turisti infatti sono ormai da tempo morti. Il protagonista dunque, una volta compreso che si è innamorato di un’immagine e che la vera Faustine ormai non esiste più, prende una decisione drastica: si registrerà e interagirà con i personaggi in modo da diventare anche lui immortale e passare l’eternità con quelle persone. 

Inutile dire che questo volume mi ha sconvolta. Probabilmente molti di voi lettori non lo sanno, ma i miei studi universitari del triennio vertono sulla tecnologia e l’impatto che quest’ultima ha avuto sulla civiltà moderna. Leggere questo romanzo, dunque, mi ha smosso non poche riflessioni. Nel mio bagaglio di studi sono stati numerosissimi gli autori che hanno parlato della riproducibilità tecnica, dell’impatto tecnologico sull’uomo e delle sue implicazioni, e questo, quindi, sarebbe un discorso senza fine. Per cui mi limiterò a esporvi quello che il romanzo, avendo appunto questo bagaglio di conoscenze alle spalle, mi ha suscitato. 

L’autore, nel 1940, ha immaginato un momento in cui l’umanità fosse in grado di raggiungere l’immortalità fisica. Fermare il tempo per sempre e riprodurre un intera settimana all’infinito, in un moto perpetuo. Come davanti a dei fantocci, il protagonista si trova inizialmente spiazzato da questa realtà. Ma nel momento in cui gli si presenta la possibilità di vivere in eterno, decide di compiere anche lui quel drammatico passo senza tenere conto, o forse volutamente ignorando, un quesito fondamentale: e l’anima in tutto ciò? Quello creato da Morel è un paradiso terrestre che però non tiene conto della componente dell’anima, la parte inafferrabile che costituisce l’essere umano. Non si può parlare di vera e piena immortalità se non sono presenti l’anima e l’intelletto. Ha dunque senso diventare immortali solo nel corpo? 

Altro punto chiave che mi ha fatto riflettere è il raccapricciante amore del protagonista verso una figura artificiale. 
Azuma Hikari, la moglie ologramma giapponese.
Il fuggitivo si innamora della riproduzione, non della Faustine reale. Un quesito sorge spontaneo: esisterà un momento in cui l’umanità si innamorerà di artifici invece che persone? Per quanto mi riguarda l’umanità è già arrivata a questo punto, seppur non in maniera così drastica. Basta pensare a quante persone si innamorano di personaggi televisivi, che, sì, sono persone reali, ma non è da loro che veniamo rapiti, bensì dalla loro trasposizione (e interpretazione). A conti fatti ci innamoriamo di una persona che di fatto non esiste, se non per il suo corpo. O ancora più calzante è l’esempio del fenomeno giapponese del Gatebox, un hub casalingo per single. Una vera e propria moglie olografica, in grado di darti il buongiorno, accompagnarti nella giornata e esprimere vocalmente il proprio amore. 

Che senso avranno dunque le interazioni umane se si possono bypassare tutti gli aspetti spiacevoli delle persone ricorrendo a degli artifici? Già nelle realtà quotidiane vi sono realtà artificiali che non necessitano di rapporto umano, come nel caso delle risposte automatiche grazie ai computer ecc. I robot, gli artifici tecnologici fino a che punto arriveranno a sostituire le persone? 



L’’invenzione di Morel è un libro che ti porta inevitabilmente a riflettere e a prendere coscienza dell’impatto sempre più vincolante che la tecnologia sta avendo sulla nostra vita quotidiana. 

Ci tengo a sottolineare che con questo post volevo esporvi quello che il romanzo mi ha suscitato e i pensieri che mi vorticavano nella mente una volta conclusa la lettura, ma non era assolutamente volto a dare un qualsivoglia tipo giudizio, positivo o negativo, sulla tecnologia e i suoi effetti.

Jane

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