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mercoledì 20 maggio 2020

Review Tour: "Il capofamiglia" di Ivy Compton-Burnett




Da Fazi Editore addicted quale sono, non potevo lasciarmi scappare l'occasione di partecipare ad un Review Tour, iniziato lo scorso 14 maggio, la cui protagonista è una delle scrittrici presenti nella mia libreria sullo scaffale "rivelazioni" e scoperta proprio grazie a questa casa editrice nel 2019 con "Più donne che uomini".

Oggi tocca a noi de "I libri: il mio passato, il mio presente e il mio futuro" parlarvi di

IVY COMPTON-BURNETT
e di un romanzo arrivato da poco - ma finalmente - qui in Italia!

Titolo: Il capofamiglia

Autrice: Ivy Compton-Burnett

Casa editrice: Fazi Editore

Genere: Narrativa

Data di pubblicazione: 14 maggio 2020

N° pagine: 348

Prezzo: cartaceo € 19 - ebook € 9.99

Trama:

Il patriarcato trova la sua più fedele espressione nella figura di Duncan Edgeworth: padre tirannico, anaffettivo e lunatico, è il capofamiglia per antonomasia. Attorno a lui si muovono, atterriti o solleticati dal desiderio di sfida, i membri della sua famiglia: la moglie Ellen, naturalmente dimessa e timorosa, le due figlie ventenni Nance e Sybil, tanto egocentrica e sarcastica l’una quanto affettuosa e remissiva l’altra, e infine il nipote Grant, giovane donnaiolo dotato di grande spirito, costantemente in competizione con lo zio, di cui è il perfetto contraltare. Nella sala da pranzo degli Edgeworth va in scena quotidianamente una battaglia su più fronti: sotto il velo di una conversazione educata, si intuiscono tensioni sotterranee e si consumano battibecchi, giochi di potere, veri e propri duelli a suon di battute glaciali: «non stiamo semplicemente facendo colazione». Fino a quando la famiglia viene colpita da un lutto improvviso, che mescola le carte in tavola innescando una reazione a catena; strato dopo strato, ognuno dei personaggi svelerà la sua vera natura, in un crescendo di trasgressioni che comincia con l’adulterio e culmina con l’efferatezza.

Acume, sagacia, drammi familiari e dialoghi al vetriolo: il meglio di Ivy Compton-Burnett concentrato in un romanzo finora inedito in Italia, che lei stessa considerava il suo preferito. Un tassello importante nella produzione di un’autrice fondamentale del Novecento inglese, amata dai più grandi scrittori: nei suoi diari, Virginia Woolf definiva la propria scrittura «di gran lunga inferiore alla verità amara e alla grande originalità di Miss Compton-Burnett».

Sono gli anni Venti del Novecento e l'istituzione famiglia sta lentamente cambiando, ma non per gli Edgeworth.  Il tentativo di Duncan Edgeworth è quello di continuare ad imporre la presenza ingombrante di patriarca-padrone - e mai di padre e marito - con decisioni ed espressioni del proprio pensiero, spesso criticate sottilmente dal nipote Grant e dalla primogenita Nance.
Riuniti sotto lo stesso tetto o in presenza di conoscenti, gli scambi verbali degli Edgeworth non sono mai privi di un'ironia sottesa impossibile da non cogliere, che fa scuotere la testa per il dissenso, specialmente se a parlare è il capofamiglia.

A mediare tra vecchia e nuova generazione, Ellen Edgeworth, una figura particolare sotto diversi aspetti, che il lettore medio tenderebbe a sottovalutare. Ad un primo sguardo, la donna sembra non imporsi come perfetta padrona di casa, sottostando al volere volubile del marito, ma al contempo, non redarguisce mai la figlia e il nipote quando si rivolgono a Duncan mettendo in discussione ogni sua parola. Se Ellen Edgeworth ha scelto di legarsi ad un uomo anaffettivo, tale scelta non deve ricadere sulla progenie che si ribella continuamente alla figura del patriarca, almeno in senso figurato, non allineandosi al suo pensiero. 

Le donne della famiglia Edgeworth dimostrano caratteri e personalità diverse, ben rappresentando la società femminile degli anni Venti. Sybil Edgeworth, diversa dalla madre e ancor di più dalla sorella maggiore, è l'unico componente della famiglia a consegnarsi totalmente a Duncan, ostentando una remissività da "brava figlia" che stona totalmente con la fermezza caratteriale degli altri personaggi. 

Se la parte femminile degli Edgeworth è un colore a più sfumature, la parte maschile rappresenta in toni vividi il contrasto tra vecchio e nuovo, antico e moderno. Tra Duncan e Grant vi è un'eterna lotta per la supremazia del maschio predominane giocata con fare spavaldo dal giovane nipote e con ferocia dallo zio. Se Duncan ha constantemente qualcosa da ricrimare in modo sottile a Grant, a sua volta, quest'ultimo riesce sempre a gettare un alone di prestoricità su tutto ciò che dice e fa lo zio. 

Attraverso la famiglia Edgeworth, Ivy Compton-Burnett riesce a mettere in scena il dramma della modernità, nel quale vengono tutte le vechie credenze e i pre-concetti vengono messi finalmente in discussione dalle nuove generazioni che si ribellano lentamente e, all'inizio, in modo astuto, utilizzando la parola come forma di attacco. 
È un esercizio diffcile quello del nascondere l'ironia dietro ogni dialogo in modo da far comprendere al lettore, senza mezzi termini, che i personaggi sono costantemente impegnati nel dare vita ad una lotta che solo in seguito prenderà davvero piede uscendo allo scoperto, ma la penna di Ivy Compton-Burnett riesce in questo intento senza appesantire il romanzoe e, assolutamente, non minandone la vera comprensione. 

A "Il capofamiglia" non posso quindi che assegnare il massimo del nostro rating:



consigliandovi però, qualora vi venisse voglia di scoprire Ivy Compton-Burnett, ma in modo più "leggero" - prestate attenzione alle virgolette -, di iniziare leggendo "Più donne che uomini".

Questa recensione termina qui e se avete già letto questi due titoli... o anche uno soltanto, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate di questa scrittrice! 



venerdì 15 maggio 2020

Review Party: "Il paese delle porte di mattone" di Giulia Morgani


Hello readers! Oggi, approfittando della pausa pranzo, vi farò conoscere una scrittrice esordiente che, dopo aver avuto la possibilità di leggere in anteprima, non potevo non consigliarvi!

Come sempre da un po' di tempo a questa parte, mi tocca ringraziare il super gruppo di blogger folli e scatenate che è diventato una seconda famiglia virtuale con la quale celebrare nuove uscite e scambiare recensioni. E ovviamente, la casa editrice HarperCollins Italia che ci ha fornito la copia digitale.

Titolo: Il paese delle porte di mattone

Autrice: Giulia Morgani

Casa editrice: HarperCollins Italia

Genere: Narrativa

Data di pubblicazione: 19 marzo 2020

N° pagine: 352

Prezzo: cartaceo €18,00 - digitale €8,99

Trama:
Giacomo Marotta è un giovane ferroviere. La guerra è finita da poco e lui ha appena ricevuto un nuovo incarico: sarà il capostazione di Centunoscale Scalo, un paese di un centinaio di abitanti, un luogo che Giacomo immagina come un’oasi di pace e serenità. È l’inizio di una nuova vita e di un futuro che si prospetta luminoso. Ma l’accoglienza che riceve non è quella che si aspetta: non è ancora sceso dal treno che lo porta a destinazione quando una donna gli dice, con uno sguardo ostile e ferino, che non è il benvenuto lì, che a Centunoscale se la possono cavare da soli. Questo è solo il primo di una serie di incontri inquietanti. Incontri che portano con sé mille domande e interrogativi, mettendo a dura prova l’entusiasmo del giovane capostazione. Chi sono davvero i suoi padroni di casa? E chi è il bambino, i capelli grigi come cenere, che vaga per le strade di Centunoscale? E perché quelle case diroccate, quei muri angoscianti di mattone? Cosa nascondono i paesani? Quale terribile segreto si cela dietro ai silenzi e alle stranezze di Centunoscale Scalo?

Giulia Morgani, al suo esordio letterario, riesce, con l’abilità che può derivare solo dal talento, a incantare chi legge con le atmosfere gotiche e inquietanti di Centunoscale Scalo, paese immaginario ma che è naturale dipingersi mentalmente nell’entroterra dell’Italia centromeridionale. Il paese dalle porte di mattone segna il debutto di una nuova grande autrice, una voce unica e inconfondibile per intensità narrativa e per la capacità di evocare mondi al tempo stesso vicini e lontani.

Centunoscale Scalo è un paese immaginario che ben rappresenta l'atmosfera dei piccoli paesi dell'entroterra del centro-meridione usciti a fatica dalla guerra. Centunoscale non esiste, ma ben permette al lettore metropolitano di calarsi attraverso gli occhi del giovane Giacono Marotta in quella che spesso si tramuta in una realtà ostile quando chi vi penetra viene considerato "forestiero".
Questa è stata la prima parola con cui ho etichettato il protagonista di questa storia, in modo spontaneo, automatico, retaggio di un'infanzia trascorsa in un piccolo paese del sud Italia. Una sorta di barriera linguistica che divide l'abituale dallo sconosciuto, il vecchio dal nuovo.

Quando Giacomo Marotta scende alla stazione di Centunoscale Scalo, ad attenderlo trova un paesaggio ostile come i suoi nuovi compaesani. Volti sconosciuti lo scrutano, minacciano la sua presenza con l'azione della non-parola, si barricano dietro un muro sociale che nella realtà esiste davvero e all plurale. Come a dover penetrare a forza in questa realtà, il ragazzo scopre di dover picconare l'accesso alla stazione, sbarrato da un muro di mattoni come altri in paese.

Il giovane ferroviere non si lascia scoraggiare, né dalla nebbia che sembra avvolgere Centunoscale in modo perenne, né dai suoi abitanti che lì proprio non lo vogliono - tranne che per Roberto, l'unico ragazzino apparentemente rimasto in paese. Giacomo appartiene ad una nuova generazione, quella che è sopravvissuta alla guerra e che ora ha soltanto voglia di andare avanti, lavorare sodo e vivere quella vita che a molti altri è stata preclusa.

Nell'intento di scoprire cosa si celi davvero dietro i volti e le porte sbarrate di Centunoscale scalo, tra l'arrivo di un treno e la partenza di un altro sempre vuoti, il ragazzo lascia che il paese operi su di lui una trasformazione, rendendolo curioso e scaltro, e non più ingenuo come all'arrivo.

Ad intervallare la narrazione in terza persona, gli stessi personaggi cupi di Centunoscale, svelano man mano le loro storie e la storia corale del paese, lasciando che il lettore scopra - ancora prima del protagonista - cosa si cela dietro le porte sbarrate da mattoni.

L'esordio letterario di Giulia Morgani si traduce in un romanzo struggente, in una storia che si fa carico di un messaggio di speranza da cercare oltre il grigiore delle atmosfere gotiche da dopoguerra.
Il paese delle porte di mattoni è un romanzo impossibile da metter giù se non arrivati all'ultima pagina, in grado di catturare l'attenzione del lettore, di tenerlo col fiato sospeso, di trasportarlo in una lettura onirica difficile da dimenticare.

Il mio giudizio complessivo?

Al prossimo evento!








mercoledì 22 aprile 2020

Review Party: "La lettrice della stanza 128" di Cathy Bonidan

Buongiorno lettori!
Quest'oggi ospitiamo il Review Party di un romanzo davvero particolare, che ha saputo trasportarmi in un'avventura coinvolgente e delicata al tempo stesso. Sto parlando de La lettrice della stanza 128 di Cathy Bonidan, edito da DeA Planeta.


Titolo: La lettrice della stanza 128
Autore: Cathy Bonidan
Genere: Narrativa 
Editore: DeA Planeta 
Prezzo cartaceo: 16,00 €
Prezzo ebook: 8,99 €
Pagine: 256 

Trama:
Tutte le sere, cascasse il mondo, Anne-Lise Briard scivola tra le lenzuola e si lascia cullare dalle pagine di un buon libro. È un momento tutto per lei, un rituale al quale non potrebbe mai rinunciare. Perciò, quando nel comodino di un delizioso hotel della costa bretone trova un vecchio plico battuto a macchina, ne approfitta per rimpiazzare il romanzo che, distratta com’è, ha dimenticato di portare con sé da Parigi. Divorare in poche ore l’anonimo dattiloscritto – una struggente storia d’amore – e lasciarsi sedurre dal piccolo mistero che rappresenta per Anne-Lise sono tutt’uno. Ed ecco che, di colpo, un weekend fin troppo tranquillo si trasforma in un’avventura. Sì, perché a pagina 156 di quel racconto così trascinante è annotato un indirizzo – probabilmente quello dell’autore – al quale Anne-Lise decide di rispedire il malloppo, “con tante grazie per la bella lettura che mi ha regalato, sebbene senza volerlo”. Ricostruire le peripezie e i passaggi di mano che hanno portato il libro fino a lei non sarà facile, ma Anne-Lise si getta nell’impresa anima e corpo. Per scoprire il segreto di una storia capace di toccare il cuore e le vite di quanti la leggono. E trovare il coraggio di scrivere per sé un finale inaspettato.

Quando un pezzo di vita altrui si dipana sotto i nostri occhi e ne siamo i testimoni involontari, non abbiamo quasi alcun potere di influenzarne il corso. Osserviamo i protagonisti e giochiamo a immaginare i loro sentimenti, le loro paure, le loro speranze.
Probabilmente a volte ci sbagliamo.
Ma accade anche di sentirsi vicini alla verità e investiti di una missione: quella di raccontare, giorno per giorno, gli eventi a cui segretamente assistiamo. Certo, così facendo ci assumiamo il rischio di rimanere spiazzati dall’esito dell’avventura.
E se il finale ci deludesse?
È una possibilità.
Dunque, se accettate il rischio, se amate l’incertezza, leggete queste lettere, a una a una, abbandonandovi al ritmo tranquillo e incerto dei servizi postali...

 È questo incipit che ci introduce al magico mondo de La lettrice della stanza 128, invitandoci a rallentare per prepararci ad un viaggio epistolare. Un viaggio che ci permette di conoscere i protagonisti non tramite le loro azioni dirette, ma dall’intreccio dei racconti che loro stessi ne fanno. Una storia che da subito ha dell’incredibile: andare in vacanza in un bellissimo paesino della Bretagna e trovare un manoscritto dentro il comodino della stanza d’albergo. Chi non ha invidiato la protagonista in questo?
La mia anima da sognatrice incallita ha cominciato subito a fantasticare, a immaginarmi al posto di Anne-Lise. Mi sono sentita al suo fianco mentre esplorava il manoscritto e partiva alla ricerca di chi potesse averlo scritto. Ho ammirato la sua determinazione e la sua sicurezza nel mettersi in contatto con degli sconosciuti, pur di riuscire a trovare risposta alle proprie domande. È spettacolare come questa ricerca avvenga attraverso un mezzo di comunicazione che oggi potremmo definire quasi “antiquato”: le lettere. Lettere che si sa quando si spediscono, ma non si sa mai quando arriveranno e, a volte, se arriveranno. Lettere che si sostituiscono alla tecnologia a cui siamo abituati, lasciando da parte la velocità delle mail e l’immediatezza del telefono. Una modalità che impone di cambiare completamente il ritmo a cui siamo abituati, costringendoci alla pazienza e alla speranza. E credo sia questo che abbia reso magico questo romanzo, donandogli delle sfumature del passato e un pizzico di brio in più.
L’autrice è riuscita a coinvolgermi in ogni pagina, in ogni lettera che veniva scritta e condivisa, facendomi sperimentare la curiosità e la determinazione di Anne-Lise, la stravaganza e particolarità di Sylvestre, la frizzantezza di Maggy. Per non parlare di tutti gli altri personaggi che si incontrano man mano che procede la ricerca. Ognuno di loro viene presentato, tramite le lettere, in modo impeccabile ed originale, dando modo di incontrare personalità anche molto diverse.
Una storia che ci fa scorgere quanto un semplice romanzo possa anche essere potente nell’influenzare la nostra vita, portandoci a sognare e a vivere avventure non solo tra le sue pagine, ma anche nel quotidiano, se ci permettiamo di seguirlo.
Una storia perfetta per questo periodo, leggera e frizzante al punto giusto, per poter essere trasportati in un’avventura d’altri tempi.
  
Talvolta tra un libro e un lettore si instaura un legame che non può essere frutto del caso.
Voto:


martedì 25 febbraio 2020

[Review Party] Recensione: La vita a un passo da noi di Christian Berkel


Hello readers! Con questo evento, organizzato dal blog "The Reading's Love" in collaborazione con la casa editrice Mondadori, faremo un salto in un passato impossibile da dimenticare.

Titolo: LA VITA A UN PASSO DA NOI

Autore: Christian Berkel

Casa Editrice: Mondadori

Genere: Narrativa

Data di pubblicazione: 25 febbraio 2020

N° pagine: 360

Trama:
Mentre la demenza senile di sua madre sta progredendo, Christian Berkel cerca di salvare ciò che resta della memoria della sua famiglia. Consulta gli archivi, legge la vecchia corrispondenza e viaggia alla ricerca delle sue origini. I pezzi mancanti li deve inventare. Il risultato è una saga familiare davvero epica.



L'attore tedesco Christian Berkel, al suo esordio da scrittore, ha indagato sul passato della propria famiglia dando vita ad un romanzo impossibile da etichettare come semplice narrativa.

Con le leggi razziali del 1935, la Germania lancia un chiaro e definitivo messaggio: gli ebrei sono un problema da risolvere. Le leggi di Norimberga, nel bene e nel male, hanno un'eco sulla vita di ogni tedesco e La vita a un passo da noi, lo conefessa al lettore senza alcuna censura.
Tra archivi, corrispondenze, viaggi in una memoria che minaccia di sbiadire e pezzi di storia che possono solo essere inventati, Berkel ricostruisce la vita della giovane Sala, costretta ad una fuga continua e perseguitata dal dolore, grazie ad un unico crimine non commesso: avere una madre ebrea che l'ha abbandonata in tenere età.

Essere privata dell'amore materno è per la ragazza una sorta di previsione. Con le leggi di Norimberga Sala è costretta a nascondere la storia d'amore con Otto - ariano "puro" - e prima che siano i tedeschi a privarla della dignità, decide di abbandonare la sua vita in Germania per raggiungere in Spagna quella madre che non l'ha mai voluta.
La Spagna degli anni Quaranta, un paese non meno schiavo della distante Germania, soggiogato dal potere assoluto del generale Franco.
Privata ancora una volta della propria libertà, Sala decide di rimettersi in viaggio, scegliendo Parigi come meta e, se di Storia ne sapete almeno un po', potrete ben capire in cosa sta per incappare la ragazza.

In La vita a un passo da noi colpisce innanzitutto la forza di questo personaggio principale, immancabilmente donna, del "fare i bagagli e partire" sperando in un futuro migliore che sembra non arrivare mai. Sala è ebrea, Sala è straniera, Sala è tedesca, Sala non è mai libera, ma rincorre questa libertà (senza dimenticare l'amore) prima lentamente - come il ritrmo stesso della narrazione - e poi sempre più veloce, proprio come il treno sul quale sale per andare in contro al finale.

Christian Berkel, dopo aver stupito platee di spettatori - non dimentichiamo che fu il grande Bergman a scoprirlo -, consegna ora ad un pubblico differente, maggiormente attento (se mi consentite la precisazione), una saga familiare che va sì ad aggiungersi a tante altre il cui fulcro e punto di partenza è la Germania della Seconda Guerra Mondiale, ma non vi si somma invano.
La storia di Berkel commuove e insegna ai lettori un passato comune a molti, ma raccontato sempre in modo differente, un passato al quale molti ancora possono e devono aggiungere particolari per far sì che non sbiadisca, proprio come la memoria di sua madre.











giovedì 20 febbraio 2020

Review Tour | Recensione: La ragazza con la macchina da scrivere di Desy Icardi


Hello readers! Il primo evento di questa mattina è dedicato ad un'autrice che porto nel cuore da quando mi ha incantata a Più Libri Più Liberi 2019 e al suo secondo libro, freschissimo di stampa.
Arriva oggi sugli scaffali italiani grazie a Fazi Editore

LA RAGAZZA CON LA MACCHINA DA SCRIVERE
di Desy Icardi

una delle uscite più attese di questa casa editrice, insieme ad Aria di novità, capitolo finale della trilogia di Carmen Korn, scrittrice non nuova sulla scena de I libri: il mio passato, il mio presente e il mio futuro. Se amate le atmosfere belliche - e post-belliche - e avete voglia di una storia che parla di lotte e cambiamenti, non potete perdere le recensioni di Figlie di una nuova era e È tempo di ricominciare, per preparavi ad un grande finale.

Nel frattempo, oggi cercherò di convincervi ad un ennesimo acquisto compulsivo... del quale non vi pentirete però! Parola di lit-blogger!

Titolo: La ragazza con la macchina da scrivere

Autore: Desy Icardi

Casa Editrice: Fazi Editore

Genere: Narrativa

Data di pubblicazione: 20 febbraio 2020

N° pagine: 425

Trama:
Cosa ricordano le dita? Se la memoria scompare, possono gli oggetti aiutare a ritrovare i ricordi?
Sin da ragazza, Dalia ha lavorato come dattilografa, attraversando il ventesimo secolo sempre accompagnata dalla sua macchina da scrivere portatile, una Olivetti MP1 rossa.
Negli anni Novanta, ormai anziana, la donna viene colpita da un ictus che, pur non rivelandosi letale, offusca parte della sua memoria. I ricordi di Dalia tuttavia non si sono dissolti, essi sopravvivono nella memoria tattile dei suoi polpastrelli, dai quali possono essere liberati solamente nel contatto con i tasti della Olivetti rossa. Attraverso la macchina da scrivere, Dalia ripercorre così la propria esistenza: gli amori, i dispiaceri e i mille espedienti attuati per sopravvivere, soprattutto durante gli anni della guerra, riemergono dal passato restituendole un’immagine di sé viva e sorprendente, la storia di una donna capace di superare decenni difficili procedendo sempre a testa alta con dignità e buonumore. Un unico, importante ricordo, però, le sfugge, ma Dalia è decisa a ritrovarlo seguendo gli indizi che il caso, o forse il destino, ha disseminato lungo il suo percorso.
La narrazione alla ricerca del ricordo perduto si arricchisce pagina dopo pagina di sensazioni e immagini legate a curiosi oggetti vintage: la protagonista del libro ritroverà la memoria anche grazie a questo tipo di indizi, che appaiono ogni volta in luoghi inaspettati, in una specie di caccia al tesoro immaginaria, tra realtà e fantasia.

Dopo L’annusatrice di libri, sul senso dell’olfatto e la lettura, un romanzo appassionante sul tatto e la scrittura, un viaggio a ritroso nella vita di una donna sulle tracce dell’unico ricordo che valeva la pena di essere conservato.


La prima cosa che vi chiedo di fare, è di rispondere a queste due domande, le medesime che trovate nella trama:

Cosa ricordano le dita?

Se la memoria scompare, possono gli oggetti aiutare a ritrovare i ricordi?

Ed ora, pensate bene a quante azione nel quotidiano compite in modo meccanico, gestite dalle vostre mani mentre la mente è altrove.
Un po' come quello che sto facendo io, ad esempio, battendo su questa tastiera osservando soltanto lo schermo, a luce spenta, per dar vita ad una nuova recensione...

Vi è mai capito di dover sbloccare il telefono, ma di non riuscire a ricordare le cifre esatte del PIN?
Sono quattro e sono lì nella vostra mente, lo sapete, ormai li avete memorizzati, ne siete certi, ma proprio non riuscite a ricordarli. Vi assale il panico, scene post-apocalittiche si affacciano alla vostra mente: la corsa nel centro di telefonia più vicino, le infinite spiegazioni ad un commesso che si ostina a non capire il problema e che, immancabilmente, vi suggerisce che la cosa non gli compete, il vostro teleofno perso per sempre. Un nuovo numero, una nuova vita, una noiosa sequela di messaggi per annunciare ai vostri contatti il cambio.
Vi incamminate davvero verso il centro più vicino, il destino che avete previsto di sta compiendo. E mentre vi state preparando il discorso da fare per non sembrare dei perfetti imbecilli, avviene una magia - o un miracolo per i più credenti: le vostre dita, senza alcun permesso, tirano fuori il telefono, toccano lo schermo e tac! Il telefono si rianima, siete salvi!

Quando ho ascoltato questo annedoto, mi trovavo in una piccola saletta sotto la Nuvola di Fuksas e Desy Icardi aveva acquistato, per me, un volto e una voce da meno di un'ora. Ho annuito come rapita, era tutto vero. Mentre cercavo di immaginare come sarebbe stato essere un'annusatrice di libri, la persona che aveva scritto il libro che stringevo tra le mani, annunciava una nuova storia: La ragazza con la macchina da scrivere. Se non potevo essere un'annusatrice, sarei stata lei - e chi ha una fervida immaginazione, sa di cosa parlo, immedesimarsi nei personaggi è uno dei processi che i lettori compiono più di frequente -, io che ho tre macchine da scrivere nascoste nella mia stanza, ma che sono ancora alla ricerca di quella perfetta (e di una scrivania che mi aiuti ad utilizzarla).


La ragazza con la macchina da scrivere non avrebbe avuto nulla da invidiare a L'annusatrice di libri, ne ero certa, lo sapevo anche se non ne avevo ancora letto nemmeno un rigo.



La Seconda Guerra Mondiale è alle porte, ma nelle piccole province, benché case del fascio e camice nere non manchino, è solo un'eco a cui in pochi prestano attenzione. I più sono quasi certi che i discorsi di Hitler e Mussolini siano solo minacce destinate a cadere nel vuoto e, solo chi sta pagando le conseguenze delle nuove leggi razziali, è certo che qualcosa sta per succedere o meglio, sta già accadendo.
La vita ad Avigliana, però scorre lenta e monotona, poco disturbata dalle notizie che giungono da Torino. Ognuno ha un ruolo da intepretare e continua a farlo - il ragioniere Bonaventura, ex proprietario di una fabbrica andata in fallimento, persevera nel voler mantenere un status sociale opposto alle cambiali che firma; la proprietaria della merceria in piazza, ormai oltre i venticinque anni, tenta ancora di spezzare quella che tutti credono essere una maledizione di famiglia, pubblicando annunci matrimoniali. L'idea della guerra sembra impensierire solo l'unica famiglia ebrea del posto, mentre esalta qualche ragazzino che, trincee e armi da fuoco le conosce bene, ma grazie alla lettura di certi romanzi pubblicati con il beneplacido dello Stato.
Quando la guerra scoppia per davvero, a soffrirne sono prima di tutto le grandi città come Torino. I bombardamenti, dapprima sporadici e poi sempre più frequenti, le corse nei rifugi durante la notte e la scarsità di generi alimentari, riempiono gli occhi di paura, smorzano l'entusiasmo dei ferventi interventisti e instillano diffidenza anche nel vicino di casa. Tra detriti e macerie, la città si svuota: c'è chi è partito volontario per la guerra, chi è stato precettato contro il proprio volere, chi si è rifugiato in campagna e chi è fuggito in un altro paese.
A cinquat'anni dal secondo conflitto mondiale, solo chi è ritornato sa raccontare quanto sia cambiata Torino e, come lei, tutte le grandi città che la guerra coinvolse loro malgrado.


Dalia Buonaventura è nata e cresciuta nella piccola Avigliana, ha tredici anni e ha già imparato quanto la vita possa cambiare da un giorno all'altro. Il bilancio familiare, gestito al peggio dal padre, l'ha costretta a lavorare sul serio (lei è una donna Buonaventura, dovrebbe occupare il suo tempo a ricamare il corredo per un matrimonio conveniente), ma le ha anche insegnato l'indipendenza, una parola che, per la ragazza, significa assicurare ogni mattina la sua Olivetti MP1 rossa alla bicicletta, montare in sella andare in giro per il paese. Anche in un piccolo centro come Avigliana c'è sempre bisogno dei servizi di una buona dattilografa. E Dalia non può essere definita soltanto buona, lei è un'ottima dattilografa, precisa nel suo lavoro e riservata sui suoi clienti.
Quando un famoso scrittore arriva da Torino proprio alla villa di famiglia - che il padre affitta nei mesi estivi -, Dalia ha quindici anni e, nonostante non sia come le altre ragazze, non pensi costantemente all'amore, le è impossibile non commettere un colpo di testa.
Da Aviglia a Torino, nel giro di qualche anno la vita della piccola dattilografa cambia drasticamente, trasformandola da ragazzina di paese a donna di città.

Dimenticate il vero padre di Dalia, l'ingegner Buonaventura - almeno nei primi capitoli - non si mostra molto parteno, attento sì a preservare la figlia dalle malelingue, ma ancor di più a "risalire la china", mandando lei a lavorare senza rimboccare le proprie di maniche. A sostituirlo, sentimentalmente, ci pensano prima il ragionier Borio, che prende la ragazza sotto la sua ala protettiva dandole una scrivania nel piccolo ufficio di piazza e i primi lavori da dattilografa, e poi l'avvocato Ferro, un Gran Maestro Annusatore, il cui tempo non scorre attraverso ore, minuti e secondi, ma è scandito da libri, pagine e capitoli. I due uomini aiutano, chi più e chi meno, Dalia insegnandole come comportarsi con il prossimo.

Nuto Cerri è uno dei personaggi su cui voglio davvero una vostra opinione, il libro esce oggi quindi potrete attrezzarvi per leggerlo e poi scrivermi. Scrittore combattente, fulgida penna dell'Impero italiano ed esaltatore del fascismo come idea giusta di disciplina e libertà, non impiega molto a rivelarsi più astuto (e meschino, lo deciderete voi) che romantico.
Ester Levi e Gianni appartengono all'infanzia di Dalia e nonostante possano sembrare due personaggi parasecondari... non posso proprio svelarvi nulla!


Tra capitoli in seconda persona, dove un narratore esterno (ma non troppo) dialoga con un'attempata Dalia Buonaventura e capitoli in terza persona dove tocca allo stesso narratore ricordare dal storia della giovane dattilografa, la narrazione si intreccia e si alterna per cercare di svelare un mistero: cosa significa quella parola FINE che campeggia da un foglio, ormai piegato, rimasto chissà per quanto tempo nella vecchia Olivetti MP1 rossa?
Dalia non ricorda nulla, neanche di aver usato la macchina da scrivere di recente, o meglio, ha cancellato del tutto i mesi che hanno preceduto il suo piccolo incidente.
Per l'anziana dattilografa esiste un nitido passato, impossibile da dimenticare e il presente pieno di semolino, raccomandazione e oggetti impolverati, stipati nel suo negozio di ricordi, ma cosa può legare queste due realtà?

Attraverso sessioni di battitura al buio, in cui a comandare sono le dita, il lettore segue la storia della giovane Dalia, curioso di scoprire cosa possano avere in comune un anellino per tendaggi, una busta gialla e il vago ricordo di una scatola da cucito giocattolo, seguendo una narrazione che velocizza man mano il suo passo, correndo quasi verso la fine e verso la soluzione.
In La ragazza con la macchina da scrivere, passato e memoria hanno un enorme peso e il grande compito di svelare il presente.

I luoghi, come i personaggi, vengono tratteggiati in modo vivido, consentendo anche ai lettori privi di una fervida immaginazione, di scoprire la Torino della Seconda Guerra Mondiale, o suscitando in essi interessi assurdi e improvvisi - come il mio per la dattilografia, si accettano suggerimenti -, mentre, merito di un personaggio in particolare, le #toberad list di tutti, si allungheranno con titoli di classici posti sotto una nuova luce.

La penna di Desy Icardi coinvolge il lettore in una sorta di indagine letteraria da risolvere a tutti i costi, per arrivare ad un finale inaspettato che lascia a bocca asciutta.
Se il "potere" di Dalia Buonaventura è quello di rievocare attraverso il tatto e quello di Adelina - protagonista de L'annusatrice di libri - è quello di scoprire attraverso l'olfatto, è innegabile che il potere di questa scrittrice sia quello di evocare attraverso le parole, creando mondi e personaggi che provocano nel lettore un sentimento di mancanza, una volta arrivati alla vera parola fine.


Non potevo che assegnare il massimo a La ragazza con la macchina da scrivere, consigliando a tutti di concedere a questa scrittrice uno spazio - e sono sicura che poi si allergherà a due - nelle vostre librerie!















giovedì 6 febbraio 2020

[Review Party] Recensione: Ventuno verità sull'amore di Matthew Dicks


Hello readers! Questa mattina parliamo di... libri! As ever, direte voi, ma conoscete la mia particolare propensione verso B.A.B., tradotto per voi: libri che parlano di libri!
Mi fanno un effetto simili anche i libri che parlano di librerie... e sì, chiamate un medico!
Ma scommetto che ogni accanito lettore che si rispetti adora leggere del proprio oggetto di culto e del proprio luogo sacro: libri e librerie, qui a I libri: il mio passato, il mio presente e il mio futuro non adoriamo altro!

Il libro di oggi coniuga tutto questo in LISTE. Avete letto bene. LISTE.

Ora, non che Matthew Dicks o la Sperling&Kupfer mi conoscano, ma vi lascio indovinare il motivo principale per cui ho una stanza piena di quaderni e agendine. Non mi limito a scrivere o ad appuntare note, sono costantemente indaffarata a buttar giù liste di cose da fare, cose da compare e cose da non dimenticare - ho anche comprato un affarino per disegnare quadratini e cerchietti perfetti - che puntualmente, ahimè, restano immacolate. Su una lista di dieci cose, di solito ne spunto ZERO. se non è costanza anche questa, ditemi voi cos'è!


Ma cosa hanno in comune una blogger sfaccendata, le liste e un libro che parla di libri?
Prima di scoprirlo nella mia recensione di

VENTUNO VERITÀ SULL'AMORE
di Matthew Dicks

meglio farvi leggere la trama, che ne dite?

Dan ha lasciato l’insegnamento per aprire una libreria, che, tuttavia, non naviga in buone acque. A complicare ancora di più la situazione è il test di gravidanza con esito positivo di sua moglie Jill, insegnante anche lei, ancora legata al ricordo di Peter, suo defunto primo marito. Per Dan è arrivato il momento di rimboccarsi le maniche, di trovare del denaro per mantenere la nuova famiglia e di smetterla di essere continuamente geloso di Peter.


Ricapitoliamo:
  • un libraio sull'orlo del lastrico
  • un figlio in arrivo
  • il fantasma di un vecchio amore
pronti a scoprire una lettura fuori dal comune?


Danyel Mayrock ha compiuto un salto nel vuoto: lasciare un posto di lavoro sicuro per aprire una libreria, una piccola fonte di entrate ma, quel che è certo, una grande fonte di uscite. Quando Jill, sua moglie, gli mostra il test di gravidanza positivo, quella che doveva essere una lieta notizia, per l'uomo diventa la principale fonte di preoccupazione.  Quando un figlio in arrivo, nella lista della vita, diventa il primo punto dei "PRO", un lavoro precario entra per direttissima sotto i "CONTRO".

Alle soglie della paternità, Dan è quasi costretto a mettere in secondo piano una particolare gelosia nei confronti del defunto primo marito di Jill, nulla ora riesce ad impensierirlo più della sua piccola libreria e il trovare un modo per farle spiccare il volo.

Il conto alla rovescia è quindi iniziato e l'uomo ha un modo del tutto particolare per gestire l'ansia e lo stress scaturiti dai rintocchi biologici di Jill: scrivere liste. Un moderno flusso di coscienza 2.0.
Nell'arco di otto mesi, Danyel Mayrock traduce nero su bianco sia i dubbi che le riflessioni in elenchi puntati, numerati o anche semplici liste di cose da affermare, soluzione da provare, un passato da non dimenticare, dando vita ad una particolare narrazione che riesce, nonostante possa suonare fredda, a raccontare, a coinvolgere il lettore, a strappargli un sorriso di quando in quanto e a farlo riflettere.

I problemi di questo protagonista sono, in realtà, comunissimi problemi quotidiani - alzi la mano chi non porta [qui vi do la possibilità di scegliere il vostro riccone preferito] di cognome e deve fare i conti con il proprio portafogli almeno una volta al mese -, un aspetto che avvicina il lettore alla narrazione, alla ricerca magari di spunti e soluzioni, o soltanto di un libro in cui specchiarsi.

Ventuno verità sull'amore è un titolo fuori dal comune, piacevolmente particolare, che vedrei bene sullo scaffale di una piccola libreria, tra i libri al buio, celato da una carta beige e provvisto di un cartellino che potrebbe recitare così:

  • una piccola libreria da salvare
  • nove mesi
  • una nuova vita
  • ottimo regalo per gli amanti di liste come questa







venerdì 24 gennaio 2020

[Review Party] "La campana in fondo al lago" il nuovo romanzo di Lars Mytting

Buongiorno lettori!
Oggi vi presento un'opera davvero particolare, giunta da noi grazie a DeA Planeta (che ringrazio per averci dato la possibilità di leggerla). Eccoci qui, quindi, ad ospitare una tappa del Review Party dedicato a La campana in fondo al lago di Lars Mytting.



Titolo: La campana in fondo al lago
Autore: Lars Mytting
Genere: narrativa
Editore: DeA Planeta
Pagine: 470
Prezzo: 18,00 €
Data di uscita: 21 gennaio 2020

Trama:
Al culmine di un parto difficile e cruento, le gemelle Halfrid e Gunhild Hekne vengono alla luce nello sperduto villaggio norvegese di Butangen. Vispe e in buona salute, rivelano un’anomalia che, da subito, le rende uniche e portentose: i loro corpicini sono fusi dalla vita in giù. Inseparabili, proprio come le campane d’argento che, alla morte delle due, il padre regala alla chiesa locale. Il rintocco delle campane gemelle accompagna le vite dei fedeli lungo l’arco di oltre un secolo, scandendo festività e ricorrenze, quotidiane fatiche e piccoli trionfi e – si dice – risuonando da sé, inspiegabile e assordante, ogni volta che un pericolo incombe sul villaggio. Fino al giorno in cui il nuovo pastore decide di disfarsene per finanziare la costruzione di una moderna chiesa dove nei mesi invernali la neve non si accumuli tra i banchi e i parrocchiani non rischino di stramazzare a terra assiderati. L’uomo, però, non ha fatto i conti con Astrid Hekne – indomita discendente della famiglia di Halfrid e Gunhild – disposta a tutto pur di difendere le “sue” campane e sfuggire a un destino che sembrerebbe già scritto.

Autore:
Lars Mytting è nato a Fåvang, in Norvegia, nel 1968. Già giornalista e editore, oggi si dedica alla scrittura a tempo pieno. Il suo Norwegian Wood, pubblicato in Italia da Utet, è stato un clamoroso caso editoriale e ha vinto il Bookseller Industry Award 2016 nella categoria Non-Fiction. Con DeA Planeta ha pubblicato Sedici Alberi, altro grande successo internazionale da oltre centocinquantamila copie nella sola Norvegia.

È stato insolito trovarsi in un’ambientazione come quella presentata da questo romanzo.
Ho sempre ammirato la penisola scandinava, i paesaggi in cui la natura regnava padrona, incontaminata e infinita quasi. Eppure qui, tutto sembra assumere delle sfumature completamente diverse.

Ci troviamo in un villaggio della Norvegia, dove regna la vita semplice dei campi e delle arti manuali. Gli abitanti sono gente semplice, abituata a vivere così da anni e anni. Sembra quasi che il tempo si sia fermato e non sia mai andato avanti: persino i nativi del luogo sembrano proseguire in un’esistenza già scritta. Tutti tranne Astrid, ventenne dal temperamento caparbio e curioso, che non si accontenta di come le cose sono sempre andate e comincia, nel suo piccolo, a ribellarsi ad alcune usanze. Con la sua pragmaticità riesce a entrare nella vita di molti nella comunità del suo villaggio, a partire dal nuovo pastore, Kai. Una sintonia e una speranza che si scontrano con l’incombenza del nuovo: non più la solita chiesa, testimone del passato, ma una nuova struttura, più grande, più sicura. Ma senza le campane.

I personaggi sono ben caratterizzati e in particolare ho adorato Astrid Henke: ho un debole per le protagoniste che non si fanno mettere i piedi in testa dagli altri e che lottano per ciò in cui credono. L’importanza delle campane sorelle per lei è evidente: memoria di ciò che furono le sue antenate, memoria del loro suonare per avvisare il villaggio di un pericolo. Qualcosa la lega ad esse e da quando percepisce quel legame, comincia la sua lotta per lasciarle al villaggio. Il pastore Kai l’ho trovato abbastanza fastidioso, come un uomo in balia degli eventi, che cerca di dirigerli, ma che finisce per farsi dirigere dagli altri. Attento alle apparenze e ai buoni costumi, fatica ad accettare il sentimento che si insinua in lui nel conoscere meglio Astrid. Ho trovato più simpatico l’architetto, soprattutto per il suo amore per l’arte e il rispetto per ciò che incontra nella chiesa del villaggio. Ogni suo gesto lasciava trasparire la passione per il passato, il desiderio di farlo rivivere.

Un romanzo intenso, che trasporta il lettore nella profondità della Norvegia, permettendoci di poterci quasi percepire lì, nel freddo del Nord. Più volte, durante la lettura, mi è quasi sembrato di trovarmi lì, accanto ad Astrid, percependo la solennità della sua impresa, il misticismo che l’avvolgeva e il legame forte con la sua famiglia. Ho vissuto con lei il desiderio di essere diversa, indipendente, di poter avere un futuro diverso da quello che tutti volevano per lei. E ho sofferto con lei quando ha scoperto che il dono degli Henke sarebbe stato portato via. Adorando il modo poi con cui cerca di ostacolare gli intenti del pastore.

Il ritmo inizialmente l'ho trovato un po' lento, ma man mano che si prosegue nella lettura si fa un po' più incalzante. Molto ricche le descrizioni e gli accenni storici.
Un romanzo da leggere per addentrarsi nelle atmosfere nordiche.

Voto:




venerdì 17 gennaio 2020

[Review Party] Recensione: La Piccola Farmacia Letteraria di Elena Molini


Secondo evento di questo pomeriggio, ma tranquilli readers, la recensione che leggerete sarò molto più soft. Prendete la vostra tazza preferita, una tisana alla frutta e acciambellatevi sul divano!
Grazie alla casa editrice Mondadori e Elena Molini, andremo in un posto davvero speciale:

LA PICCOLA FARMACIA LETTERARIA

Se siete dei bravi lettori, avete un unico compito: PORTARMICI!
Salerno - Firenze è un bel viaggetto, ma la destinazione vale la pena... non contando il fatto che si tratta di una città che ho nel cuore!

Ok, mentre preparate le valigie, vi fornisco qualche informazione utile su questo titolo fresco di stampa!

Titolo: La Piccola Farmacia Letteraria

Autore: Elena Molini

Casa editrice: Mondadori

Genere: Narrativa contemporanea

Data d'uscita: 14 gennaio 2020

N° pagine: 276

Prezzo: cartaceo €19,00

Trama:
A volte il treno dei sogni passa prima che tu riesca a raggiungere la stazione. Allora hai due possibilità: guardarlo andare via per sempre, oppure percorrere quel binario a piedi e continuare a rincorrere i tuoi desideri.

E così decide di fare Blu Rocchini – sì, proprio Blu, come il colore -, che vive a Firenze insieme ad altre tre ragazze, tutte più o meno trentenni, tutte più o meno alle prese con una vita sentimentale complicata. Blu ha un sogno: lavorare nel mondo dei libri. Ci ha provato con una breve esperienza in una casa editrice specializzata e, ancora, in una grossa catena di librerie.

Poi la decisione: aprire una libreria tutta sua. Ma la vita è difficile per una piccola libreria indipendente finché Blu ha un’intuizione: trasformare i libri in “farmaci”, con tanto di indicazioni terapeutiche e posologia, per curare l’anima delle persone. Nasce così la Piccola Farmacia Letteraria, che si rivela subito un grandissimo successo.

Peccato che ora Blu abbia altro per la testa: come fare a ritrovare il meraviglioso ragazzo che sembra uscito dalle pagine del Grande Gatsby e con cui ha trascorso una serata indimenticabile, ma al quale non ha chiesto il numero di telefono?

In una divertentissima commedia dal finale sorprendente, Blu scoprirà che i sogni, a volte, sono molto più vicini di quanto si possa immaginare. Basta saperli riconoscere.

Quanto fanno bene i libri come La Piccola Farmacia Letteraria? Ma soprattutto, quanto fanno bene i posti come La Piccola Farmacia Letteraria?
Sì, questo posto fantastico esiste davvero perché se i libri hanno poteri curativi, deve pur esserci un luogo dove acquistare queste speciali medicine.

Ho passato un pomeriggio in compagnia della storia di Elena Molini e della normalissima Blu Rocchini, una protagonista che più simile a tutte noi lettrici accanite, non si poteva. In fondo, chi non ha mai fatto come lei? Consigliare il titolo adatto ad una persona in difficoltà, regalare il libro giusto ad un amico in un brutto periodo; il primo punto di forza de La Piccola Farmacia Letteraria è proprio la sua protagonista, specchio fedele del buon 90% dei suoi lettori. 
Per salvare il suo piccolo sogno dal tracollo finanziario, Blu capisce che quelli nei suoi scaffali non sono solo semplici libri, ma vere e proprie ancora, sia per i suoi cliente che per lei.

Ora, ad una protagonista impossibile da non adorare, aggiungete un colorato e bizzarro circo di amicizie e un ragazzo misterioso che sembra uscito proprio da un libro e avrete una lettura piacevolmente esilarante.
Il tutto descritto con leggerezza e un pizzico di ironia, da una penna che sa il fatto suo. Avete capito bene, Blu Rocchini nella realtà esiste, ma veste un altro nome: Elena Molini, la vera libraria della vera Piccola Farmacia Letteraria!
Persona più adatta a scrivere un romanzo fresco, privo di pretese e tanto vicino alla realtà quanto ricco di sogni e speranze, non poteva esistere.

Stringevo La Piccola Farmacia Letteraria tra le mani - virtualmente, mi sono convertita al Kindle da un po' - e mi sono accorta di quanto questo stesso libro fosse la medicina per un inizio anno davvero nero! 
Quindi se non avete tempo per fare una capatina nella bella Firenze, potete ripediare facendo un paio di cosette:
→ seguire la pagina Instagram della Piccola Farmacia Letteraria
→ lasciarle il vostro like sulla pagina Facebook
→ comprare la medicina di Elena Molini


Con questa recensione vi do la mia personale buonanotte!








giovedì 16 gennaio 2020

[Review Party] Recensione: Storia della nostra scomparsa di Jing-Jing Lee



Hello readers! In un blog tutto al femminile come il nostro, è scontato - o dovrebbe esserlo - che l'argomento "donna" sia al centro delle nostre letture. Con l'evento di oggi, abbiamo sfogliato una pagina nera della Storia della Malesia, che ha visto la donna essere degradata a pura merce di piacere.

In questo REVIEW PARTY vi parlerò di 
STORIA DELLA NOSTRA SCOMPARSA
libro d'esordio della scrittrice malesiana Jing-Jing Lee, approdata oggi nelle librerie italiane.


Titolo: Storia della nostra scomparsa

Autore: Jing-Jing Lee

Casa Editrice: Fazi editore

Genere: Narrativa, Storico

Data d'uscita: 16 gennaio 2020

Prezzo: cartaceo €17

Trama:
Wang Di ha soltanto sedici anni quando viene portata via con la forza dal suo villaggio e dalla sua famiglia. È poco più che una bambina. Siamo nel 1942 e le truppe giapponesi hanno invaso Singapore: l’unica soluzione per tenere al sicuro le giovani donne è farle sposare il più presto possibile o farle travestire da uomini. Ma non sempre basta. Wang Di viene strappata all’abbraccio del padre e condotta insieme ad altre coetanee in una comfort house, dove viene ridotta a schiava sessuale dei militari giapponesi. Ha inizio così la sua lenta e radicale scomparsa: la disumanizzazione provocata dalle crudeltà subite da parte dei soldati, l’identificazione con il suo nuovo nome giapponese, il senso di vergogna che non l’abbandonerà mai. Quanto è alto il costo della sopravvivenza?
Sessant’anni più tardi, nella Singapore di oggi, la vita dell’ormai anziana Wang Di s’incrocia con quella di Kevin, un timido tredicenne determinato a scoprire la verità sulla sua famiglia dopo la sconvolgente confessione della nonna sul letto di morte. È lui l’unico testimone di quell’estremo, disperato grido d’aiuto, e forse Wang Di lo può aiutare a far luce sulle sue origini. L’incontro fra la donna e il ragazzino è l’incontro fra due solitudini, due segreti inconfessabili, due lunghissimi silenzi che insieme riescono finalmente a trovare una voce.

Con una scrittura poetica e potente, in questo romanzo d’esordio Jing-Jing Lee attinge alla sua storia familiare raccontando la memoria dolorosa e a lungo taciuta di una generazione di donne delle quali è stata per decenni negata l’esistenza: una pagina di storia che troppo a lungo è stata confinata all’oblio.

La Fazi Editore ha fornito ad un piccolo gruppetto di blogger l'occasione di leggere questo titolo in anteprima, occasione che, sin dalle prime pagine, si è trasformata in opportunità. Non è un mistero che io prediligga autori - contemporanei e non - più vicini all'Italia per posizione geografica, ma per la seconda volta, grazie ad un review party, mi sono trovata tra le mani un titolo tradotto da caratteri che non riuscirei a comprendere neanche con tutta la buona volontà che devo avere da linguista e traduttrice quale sono.
Dopo Fuga di morte di Sheng Keyi, nella mia libreria digitale è arrivata Jing-Jing Lee con una storia dal compito preciso: fare luce sulla vita di un gruppo di donne durante la Seconda Guerra Mondiale.
Vi siete ai chiesti cosa voglia dire essere nata donna nella Malesia degli anni Quaranta?

La protagonista di Jing-Jing Lee nasce con un nome emblematico: in attesa di un fratellino. Un nome che può solo vaticinare un futuro difficile, nel quale le donne sono un peso da sostenere e non una risorsa. Come si ci sbarazza dell'inconveniente di avere una figlia femmina? Un matrimonio - conveniente, se possibile. Ma la bellezza di Wang Di non attrae un buon partito, imprese nella quale fallisce addirittura la mezzana alla quale si affida la famiglia della ragazza. Il 1942 porta a Singapore l'esercito giapponese e a nulla vale nascondersi o tagliare i capelli per imbruttirsi: Wang Di diventa una donna di conforto.
Dietro all'appellativo di "comfort house" si nascondono delle vere e proprie prigioni/bordello, in cui le donne devono obbedire e soddisfare le richieste dei soldati giapponesi, remissive, silenziose e invisibili.

A distanza di sessant'anni, l'anziana Wang Di non riesce a dimenticare, tormentata da una guerra combattuta tra quattro mura, senz'armi, e non sui campi di battaglia. La guerra della donna continua ad imperversarle dentro, trascinandola in dolori ricordi che tenta di non risvegliare e che non ha mai rivelato al marito, il Vecchio - più anziano di lei di dodici anni -, neanche in punto di morte.
È l'arrio inaspettato di un ragazzino e di un carico di lettere che cercano risposta a metterla definitivamente di fronte al suo passato. La giovane Wang Di si alterna alla Wang Di del presente, e la protagonista è costretta a rivivere a voce alta un periodo fatto di abusi e a ricordare amicizie nate nella disperazione più totale, per arrivare a considerare con una maturità diversa ciò che è stata costretta a fare e a tacere per anni.

Storia della nostra scomparsa ha in sé una delicatezza, certamente dovuta alla penna della scrittrice, ma al contempo una potenza narrativa in grado di portare alla luce una Storia dimenticata e taciuta che finalmente, grazie ad una donna, può uscire allo scoperto.

Le donne come merce, le donne prive di valore se non la bellezza fisica, le donne che non sono uomini, vengono rivendicate da Jing-Jing Lee in un romanzo che deve essere letto, una lettura come imperativo categorico per soppesare e paragonare passato e presente. Una lettura da aggiungere alla lista di quelle indispensabili per parlare di donne e aprire dibattiti sulla questione di genere.


Il messaggio che vi lancio è chiaro e deciso: bisogna cambiare. Urge cambiare. E deve partire da noi, da tutti quelli che fanno "lo sforzo" di aprire un libro per aprire la mente.